Conferencia del Card. Fernando Filoni, Prefecto de la Congregación para la Evangelización de los Pueblos, en el curso de la conferencia que ha tenido en la tarde del sábado 25 de abril en Lyon, en la iglesia de Saint-Nizier, donde está enterrada Pauline Marie Jaricot (1799-1862), en ocasión del lanzamiento oficial del nuevo sitio Internet dedicado a la vida y al compromiso apostólico y misionero de la Venerable de Lyon (véase Fides 25/04/2015). (FIDES)
Conferenza su PAULINE-MARIE JARICOT
(Lione, Église Saint Nizier, 25 aprile 2015)
Pauline-Marie hier, Pauline-Marie aujourd’hui, Pauline-Marie demain?
1799-1862. Le date sono gli occhi della storia. E qui, oggi, parliamo della storia, ossia della vita di Pauline-Marie Jaricot, stella luminosa di quell’era di forte evangelizzazione che fu il XIX secolo. Sappiamo che la storia, per essere tale, deve essere attraversata da uomini e donne, che, con la loro vita e con il loro pensiero, ne caratterizzano il tempo. Sappiamo anche che la storia, ossia il tempo, è, per così dire, un segmento dell’eternità.
Chi guarda oggi la facciata della Basilica di San Pietro a Roma individua, sulle due alte estremità esterne, due orologi molto grandi, e subito noterà che uno di essi segna il corretto orario, quello di sinistra, e l’altro, quello di destra, è fermo. Simbolicamente e visualmente cogliamo, nell’intuizione dell’artefice, la dimensione che la Chiesa vive nella storia, dove Cristo l’ha voluta e le ha dato il proprio mandato da svolgere nel tempo, benché essa tenda all’eternità. La Parola di Gesù è eterna e per l’eternità. Pur proclamata nell’oggi, essa non passa.
Mentre il «Momento», dunque, -l’elemento che, nella successione ripetuta, costituisce il tempo, la durata, la cronologia, il passare, il rincorrersi continuamente dei minuti e dei giorni e quindi l’inafferrabilità- è tracciato dal cronografo a sinistra della Basilica, l’«Ora» -ossia il metastorico, il perenne, l’eterno, che è fisso, che permane attraverso il succedersi dei fatti storici e che pertanto ha la capacità di spiegarli secondo la nostra percezione intellettiva- è segnata dal quadrante di destra.
Se fermiamo la nostra attenzione sulla dimensione della storia trascorsa, non possiamo non parlare degli attori che l’hanno marcata, lasciando un’impronta che, quanto meno, ci incuriosisce; nascono allora gli interrogativi: chi, perché, come, quando, in che modo? Cioè la non contemporaneità con il personaggio o l’evento, suscita in noi il desiderio di conoscere. Più poi ci si allontana dal personaggio o dall’evento, più sentiamo il bisogno di mettere a fuoco quegli elementi che ci permettono la comprensione più profonda e corretta di esso o di essi.
Parliamo ora di Pauline-Marie Jaricot. Di lei non possiamo non comprendere quello «ieri» che fu il tempo in cui Ella nacque, si formò e operò; ossia, non possiamo non fermare la nostra attenzione anche sullo sfondo, come in un quadro, entro cui collocarne la vita, l’esperienza umana e spirituale di questa lionese, nata in una famiglia numerosa (fu la settima tra fratelli e sorelle), una famiglia pia, di media borghesia, attaccata e fedele alla Chiesa.
Devo però dire, prima di tutto, che ho accettato con piacere, di venire qui, a Lione, e parlare della Jaricot, non solo per l’affascinante sua personalità e per l’attualità di questa donna, ma anche per quel profondo legame che, quale Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, lega la mia Congregazione alla Venerabile Pauline-Marie.
Lo sfondo in cui collochiamo le date d’inizio e fine dell’avventura umana, 1799-1862, della Jaricot, è quello di una Francia che viveva la fase più delicata e critica del passaggio dall’ancien régime, della commistione tra Chiesa e Stato, ad una nuova prospettiva, di cui la società era alla ricerca. Nei suoi 63 (sessantatre) anni di vita, la Jaricot fu testimone dello stato d’indifferenza e dell’ignoranza religiosa tra il popolo del suo tempo e del risveglio, di cui Ella divenne parte. Il suo, fu anche il tempo, dal punto di vista del risveglio religioso, che avviava i suoi strumenti nelle missioni parrocchiali e nell’educazione dei ragazzi, mentre, proprio a Lione, il cardinale (Joseph) Fesch, arcivescovo della Città, formulava il progetto di una Società nazionale delle missioni che, poi messa sotto la direzione del Reverendo Rauzan, celebre missionario, sarebbe stata inserita nell’organizzazione missionaria, poi proibita da Napoleone per timore di troppa fedeltà al Papa. Era anche il tempo della fioritura delle Congregazioni mariane del padre ex-gesuita Delpuits, restaurate a Parigi nel 1801, alle quali aderiva la nuova gioventù studentesca, delle Congregazioni della gioventù dell’abate (Guillaume-Joseph) Chaminade (1806), della formazione di una specie di istituti secolari destinati agli «ambienti di vita», per non dire della congregazione lionese a carattere laicale, che poneva allora la Chiesa di Lione all’avanguardia della restaurazione religiosa della Francia del secolo XIX[1]. Questi scenari fanno da sfondo all’infanzia e all’adolescenza di Pauline-Marie Jaricot; un periodo che fu anche marcato da momenti personali di depressione, connessi ad un incidente in casa che ne comprometteva alquanto la deambulazione, nonché, poco dopo, all’età di 15 (quindici anni) della morte della sua cara mamma (1814). La preghiera in cui fu introdotta dal parroco di Tassin(la-Demi-Lune) l’aiutò spiritualmente, superando anche un desiderio di vita mondana da cui era attratta, verso un ideale di vita centrata sulla carità verso i poveri di Lione e verso la missionarietà.
A 17 anni Pauline-Marie ebbe dunque una prima, generosa e ideale trasformazione religiosa: il 25 dicembre 1816, nella cappella di Fourvière, assumendo il voto di castità, scelse di intraprendere “il cammino mistico della riparazione e della carità”, in considerazione delle rovine spirituali causate dalla rivoluzione, attraverso l’educazione dell’infanzia e la cura dei malati. Secondo la più nota e radicata devozione in Francia, la Jaricot, che era accompagnata dalla lettura dell’Imitazione di Cristo, sentì il fascino e l’attrazione per il Sacro Cuore. Erano, infatti, gli anni in cui il gesuita Pierre-Joseph Picot de Clorivière aveva dato vita alla Fraternità dei Sacerdoti del Cuore di Gesù (1791), a Lione nascevano i Fratelli del Sacro Cuore del padre André Coindre (1821), e a Bétharram sarebbe sorta la Congregazione dei Preti del Sacro Cuore di Gesù (1832).
È in questo contesto che nacque la prima Opera della Jaricot, quella delle Riparatrici del Cuore di Gesù misconosciuto e disprezzato (1817), associandovi giovani operaie che si dedicavano ad una vita di pietà e di apostolato. Fu anche il tempo in cui Pauline-Marie, con fervore giovanile, apprendeva ad entusiasmarsi per la Chiesa e per la sua missione evangelizzatrice nel mondo. Una passione che le nacque dal momento in cui vide il fratello Philéas, il più prossimo a sé anche per l’età, entrare in seminario nel desiderio di essere missionario in Cina. I due pensarono a come aiutare i missionari sparsi nel mondo; Pauline-Marie, era propensa ad un sistema permanente di aiuto alle missioni estere e fu così che convinse una decina di amiche a mettere settimanalmente da parte qualche soldo per le missioni; al tempo stesso esse si sarebbero dovute impegnare a trovare ciascuna altre dieci persone, con lo stesso scopo, e così via, coinvolgendo il più ampio numero di persone. Nacque allora quell’aiuto continuato per la propagazione della fede che non era soltanto di tipo finanziario, ma aggiungeva l’impegno quotidiano di pregare per la conversione dei popoli non ancora cristiani. Stava per nascere ciò che sarà un giorno nella Chiesa l’Opera della Propagazione della Fede e le annesse Pontificie Opere Missionarie. Mentre il fratello Philéas continuava la sua formazione seminaristica, Pauline-Marie vedeva riconosciuta la sua Opera, tanto a livello parrocchiale (nella parrocchia di San Policarpo), quanto dal direttore per le Missioni Esteri di Parigi e, ben presto, anche per le missioni di tutto il mondo.
L’«originalità», o se si vuole anche la «genialità», della sua visione non sta solo nel rinnovamento spirituale avviato tra i laici e le lavoratrici, ma anche in quell’ampio respiro missionario dato dal suo cuore, che travalicava i confini sia locali, sia della Francia, per estendersi nel mondo. Ella non amava fondare una congregazione religiosa missionaria, femminile o maschile che fosse, quanto amava coinvolgere i laici in virtù della fede di ogni battezzato nell’azione evangelizzatrice.
Va rilevato che dalla prima metà del XIX secolo furono messi i prodromi del clima del grande risveglio del fervore missionario che pervase in particolare l’Europa del XIX secolo e della nascita di numerose istituzioni missionarie per l’evangelizzazione dell’Africa, dell’Asia, dell’Oceania e dell’America del Nord. Penso, ad esempio, in Francia, ai Padri Maristi, o Società di Maria, fondata da un giovane prete di Lione, Jean Claude Colin, che a Fourvière consacrava nel 1816 la sua vita a Maria e che nel 1836 riceveva l’impegno di evangelizzare in Oceania, agli Oblati di Maria Immacolata (OMI), fondati dal vescovo Eugènie de Mazenod nel 1826, contemporaneo della Jaricot, alla Congregazione dello Spirito Santo e del Sacro Cuore di Maria del Padre Liberman (1848), ai Missionari d’Africa o Padri Bianchi, fondati dal cardinale Lavigerie (1868), ai Missionari del Sacro Cuore di Gesù, del sacerdote Jean Jules Chevalier, che dal 1881 partiranno per il lontano Pacifico; in Italia, al Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME) di Milano (1850), istituzione non dissimile di quella di Parigi, ai Comboniani o Figli del Sacro Cuore di Gesù, con relativo ramo femminile (1866), ai Saveriani di Parma (1890), ai Missionari della Consolata di Torino (1901); in Germania alla Società del Verbo Divino (SVD), maschile e femminile, del sacerdote Arnold Janssen (1875), in Belgio alla Congregazione del Cuore Immacolato di Maria (o di Scheut), del sacerdote Teophiel Verbist (1862), in Gran Bretagna ai Missionari di Mill Hill del card. Herbert Vaughan (1866) e poi negli USA i Missionari di Maryknoll(1911) di James Anthony Walsh. E l’enumerazione, per essere completi, non si fermerebbe qui, perché bisognerebbe nominare anche altre istituzioni maschili e femminili, come ad esempio i Salesiani e le Salesiane di Don Bosco (1859), che accanto a finalità pastorali specifiche, non disdegnarono di entrare nell’ambio missionario con grande profitto e benemerita attività.
A Roma la Congregazione de Propaganda Fide,[2] riceveva nuovo impulso per le missioni, alla quale il Pontefice Pio IX chiedeva chiarezza di idee, energia, capacità di concretizzare i piani e grande visione evangelizzatrice.
In un tempo in cui la missionarietà era organizzata, diretta e sostenuta da grandi istituzioni come appunto Propaganda Fide ed era prevalentemente in mano agli antichi ordini e società clericali, -come francescani, domenicani, carmelitani e gesuiti- assente anche quella che noi oggi chiamiamo la cooperazione diocesana o inter-diocesana, il coinvolgimento o meglio la cooperazione dei laici rimaneva ai margini, per non dire che era inesistente. Pertanto, l’impegno missionario di una giovane donna, che manifestava amore e intendeva partecipare all’annuncio del Vangelo ad gentes, in modo non-occasionale, né solo personale ma coinvolgente anche altri laici e che come impegno perseguirà per tutta la vita, fu un aspetto ecclesialmente antesignano, precorritore dei tempi. Ella, attraverso anche le sue vicende personali, come alcuni problemi di salute che nel 1820 l’afflissero, ed a motivo dei quali dovette allontanarsi “dal suo frenetico impegno di apostolato missionario, coltivò e diede il suo contributo soprattutto attraverso la preghiera e il raccoglimento adorante. Trascorreva molto tempo in adorazione eucaristica e in una notte, particolarmente ispirata, compose un testo molto intenso dal titolo «L’amour infini dans la divine Eucaristie, fontaine divine, source des tous les autres sacremants»”[3]. Aveva 23 anni (1822)! Sono pagine straordinarie -commenta un autore- che fanno conoscere un bellissimo aspetto della sua spiritualità di vera contemplativa, innamorata dell’Eucaristia, ma -direbbe oggi Papa Francesco- di una contemplativa “in uscita missionaria” (EG[4] 20).
La sua personalità, che volle rimanere libera da legami affettivi e forse poco apprezzata ai suoi tempi, decisamente femminile, profondamente e spiritualmente legata a Cristo, così attiva e inserita nel mondo, si temprava, al tempo stesso tra ideali e sofferenze, si pensi: alla malattia del padre, della sorella Loretta e del fratello Philéas, che dopo l’ordinazione sacerdotale (1823) non era potuto partire per l’agognata missione in Cina e dalla loro morte nel giro di breve tempo. Tuttavia, per Lei la Provvidenza forniva un aiuto e sostegno da veri uomini di Dio, come il curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, il Rev. Würtz, suo primo direttore spirituale, poi il Rev. Renault, e il Rev. Colin, grande amico e suo sostenitore nelle missioni in Oceania.
In un tempo che si annunciava difficile, la Jaricot si affidò alla Vergine Maria; già nel 1826 aveva dato vita all’Opera “Rosario vivente”: la «questione sociale» in Lione, sul tema del lavoro e degli operai, aveva un terreno fertile con l’introduzione di nuove macchine che rivoluzionavano l’aspetto manifatturiero, ma creavano anche forti tensioni. Ella percepì la necessità di avvicinare i lionesi alla preghiera mariana del rosario, al fine di recuperarne la fede in Gesù che salva. La recita del rosario era un modo concreto attraverso cui, similmente all’Opera della Propagazione della Fede, intendeva coinvolgere quindici persone, ognuna delle quali ne avrebbe coinvolto altre quindici, in una catena infinita. La Sede Apostolica approvò il Rosario Vivente nel 1832 e, dalla sua Casa di Lorette, la Jaricot dirigeva e organizzava questa nuova avventura, senza dimenticare il suo impegno per le Missioni. Stimata dal cardinale Lambruschini, in pellegrinaggio prima a Loreto e poi a Roma, ebbe la felice avventura di essere visitata dal Papa Gregorio XVI. Fortemente ammalata, su invito del Curato d’Ars andò in pellegrinaggio a Mugnano di Napoli, dove ottenne la guarigione in preghiera nella Chiesa di Santa Filomena.
Riprese le forze, una nuova avventura l’attendeva: la fondazione dell’Opera Associazione delle Figlie di Maria (1835), che ha delle caratteristiche non dissimili dalle odierne associazioni di vita apostolica, senza uno stato di vita consacrata, vivendo in semplicità, come un piccolo cenacolo che irradia carità ovunque,[5] e con una spiritualità derivata dalla meditazione dei misteri del Rosario e della Via Crucis, l’adorazione e la devozione ai Cuori di Cristo e Maria.
Nel 1842 la Jaricot, che aveva a cuore il movimento «mutualistico» della sua città, progetta un’altra Opera, La Banca del Cielo, nel contesto di favorire la situazione operaia, dove gli i lavoratori dovevano affrontare turni massacranti nelle fabbriche, spesso poco retribuiti e senza garanzia. Avventurandosi nell’impresa di dar vita ad una fabbrica in cui fosse promossa la dignità della classe operaia, intraprese l’Opera di Nostra Signora degli Angeli, ma raggirata e ingannata dall’amministratore, il Sig. Perre, cadde in forti debiti; la vicenda provò a tal punto la Jaricot da metterla in stato di indigenza (1851). Gli ultimi dieci anni della sua vita, ci mostrano una donna dalla personalità piegata dal dolore ma non spezzata, ferita in tutto, ma con una fede forte e inossidabile.[6] Così scrisse all’amica Madre Saint-Laurent: “Le croci più dolorose, e che stupiscono un po’ la nostra debolezza, sono quelle che con buone intenzioni ci vengono dagli amici di Dio. E bisogna pure amarle, perché esse sono scelte da Dio per santificarci”. Da questa radice nobile e solida, nascerà ben presto, per incoraggiamento di Pauline-Marie e del Vescovo Forbin-Janson, di Nancy, l’Opera della Santa Infanzia.
La Jaricot si addormentò nel Signore il 9 gennaio 1862. Era come il chicco di grano che caduto in terra fruttifica, una benedizione per la Chiesa missionaria, al tempo stesso Maria e Marta, sapendo che accogliere Gesù significava godere della sua amicizia; un’amica delle missioni, che Ella sostenne con la preghiera e una solidarietà efficace; una pioniera del mondo operaio che si affacciava prepotentemente alla ribalta sociale.
La Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e le Pontificie Opere Missionarie la considerano, insieme a San Francesco Saverio e a Santa Teresina di Gesù, il terzo elemento del tripode su cui poggia l’opera missionaria: al tempo stesso ad Gentes e interna, ossia di trasformazione della Chiesa, proprio come fu intesa dalla Venerabile Pauline-Marie Jaricot con la creazione delle sue sei “Opere” e che sono tanto simili al “sogno”(EG 27) o all’auspicata “conversione”(EG 30) ecclesiale di Papa Francesco: “Come vorrei trovare parole per incoraggiare una stagione evangelizzatrice più fervorosa, gioiosa, generosa, audace, piena d’amore fino in fondo e di vita contagiosa!”(EG 261).
Vorrei concludere questo mia Conferenza con le parole della Lettera enciclica Lumen Fidei; queste due parole -Lumen fidei, la luce della fede- scrive il Papa Francesco, sono un’espressione con cui “la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù, il quale, nel Vangelo di Giovanni, così si presenta: «Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre»(Gv 12, 46)”(LF 1).
Perché intendo concludere con questo riferimento? Perché immagino la luce della fede non come una potenza che abbaglia o che acceca, ma come una luce che proviene da una torcia, che si trasmette per contatto, che va passata e che, in questo modo, si trasmette in ogni luogo e in ogni tempo; un po’ come succede con i tedofori delle olimpiadi: portano una fiamma che non deve spegnersi e passa di mano in mano; che si dona e si porta.
Ebbene, Pauline-Marie Jaricot, toccata dalla fede, è stata una tedofora, amando costantemente di trasmettere la luce che aveva ricevuto e di ravvivarla, portando con sé sempre, quale donna saggia, l’olio della profonda spiritualità che le proveniva dall’Eucaristia, mai dimenticando di averne una scorta. Ed è proprio in questo senso che la sua attualità, ieri, oggi e domani rimane assolutamente intatta. Un’attualità, anche sotto l’aspetto antropologico-culturale, ci sorprende e continua a destare meraviglia, tanto più, quanto più si approfondisce la conoscenza della sua vita e del suo impegno cristiano.
E sono ormai in tanti ad esserne affascinati e a studiarla. La stessa Conferenza dei Vescovi di Francia, in un documento (n.6) del 2013, l’ha riproposta all’attenzione di tutti, con un titolo bello e significativo, che anch’io sottoscriverei: «Pauline-Marie Jaricot - Une oeuvre d’amour».
Il mio auspicio è che, in un futuro prossimo, a questa figlia di Lione, a questa figlia della Chiesa, si riconosca quell’esemplarità di testimonianza cristiana che la collochi tra i Beati e i Santi della Chiesa stessa.
Grazie per la vostra attenzione.
[1] Cf. A. LESTRA, Histoire secrète de la congregation de Lyon, Paris, 1967.
[2 Nel periodo della vita della Jaricot , Propaganda Fide fu retta dai seguenti Prefetti: Stefano Borgia (1798-1800), Antonio Dugnani (pro-prefetto, 1804-1805), Michele Di Pietro (1805-1808), Lorenzo Litta (1814-1818), Francesco Fontana (1818-1822), Ercole Consalvi (1822-1824), Giulio Maria della Somaglia (1824-1826), Mauro Cappellari, O.S.B.Cam. (1826-1831 eletto Papa, con nome di Gregorio XVI), Carlo Maria Pedicini (1831-1834), Giacomo Filippo Fransoni (1834-1856), Alessandro Barnabò (1856-1874), Alessandro Franchi (1874-1878).
[3] Cf. M. TIRONI, Paolina Jaricot, Velar ed., Gorle 2014, p.21.
[4] EG – Evangelii Gaudium
[5] Cf. C. GIACOVELLI, La Donna delle due Lampade, POM Italia, Roma 1999.
[6] Cf. M. TARONI, cit, p. 37.