El domingo, 26 de abril, IV domingo de Pascua, el Card. Filoni ha presidido la celebración eucarística en la Basílica de Notre Dame de Fourvière, donde la Venerable Pauline-Marie Jaricot, la mujer de las Obras Misionales, la trabajadora incansable de la oración y la víctima de la solidaridad para con los trabajadores, a menudo venía para manifestar a María sus ansias y deseos y para poner bajo su protección, los proyectos que nacían de su genio femenino y de un corazón ardiente y indomable, de hecho después de la Eucaristía y del Sagrado Corazón de Jesús, su amor más grande era María.
Omelia della IV Domenica di Pasqua
(Lione, 26 aprile 2015)
Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,
Oggi è la IV domenica dopo Pasqua, detta anche domenica del «Buon Pastore» per via del brano del Vangelo, dove Gesù proclama di essere il buon pastore: “Io sono il buon pastore”(Gv 10, 11). Per tale ragione, questa domenica è dedicata anche alla preghiera per le vocazioni sacerdotali.
Celebrare per me oggi nella presente circostanza in questa Basilica di Notre Dame de Fourvière, è motivo di particolare emozione, giacché, in questo luogo mariano, di cui tanto avevo sentito parlare e letto, sono venuti, lungo numerosi secoli, uomini e donne santi e sante, fondatori e fondatrici di istituti religiosi e semplici pellegrini, trovandovi, in questa «Casa di Maria», accoglienza, ospitalità e luce; qui si percepisce l’abbraccio tenero di Maria, quale Madre; da qui , poi, ripartivano tutti rigenerati per una vita nuova. Quest’accoglienza, quest’ospitalità, quest’abbraccio di Maria non si sono esauriti; Maria continua ancora oggi la sua missione e, come a Cana di Galilea, ci ottiene da Gesù il vino nuovo e migliore della speranza e della grazia.
Ieri sera ho parlato a Saint Nizier della Venerabile Pauline-Marie Jaricot, figlia eletta di questa Città: la donna delle Opere Missionarie, l’operatrice instancabile della preghiera e la vittima della solidarietà operaia. In questa Basilica Ella veniva spesso per manifestare a Maria le proprie ansie, i propri desideri e mettere sotto la Sua protezione i progetti che nascevano dal suo genio femminile e da un cuore ardente e indomito. La Venerabile Jaricot ricordava quei momenti trascorsi in questo tempio come momenti di grazia; così, per esempio, a proposito della sua conversione, scriveva: “Ho sofferto terribilmente durante i primi mesi della mia conversione. Non sarei mai stata capace di curarmi dalla vanità se non avessi vigilato su me stessa con diligenza. Mi sembrava che la morte fosse stata preferibile, più che rinunciare a tutte le vanità del mondo”. Dopo l’Eucaristia e il Sacro Cuore di Gesù, il suo più grande amore fu Maria; sappiamo che, nel 1826, quando aveva solo 27 (ventisette) anni concepì di dar vita all’Opera del Rosario vivente, un’associazione accessibile a tutti, che legava, attraverso la preghiera mariana del Rosario migliaia di persone; la Jaricot riteneva, giustamente, che in questo modo si sarebbero raggiunti due scopi: il primo, quello di meditare i misteri della vita di Gesù e di Maria - “pènétrer dans l’interieur de Jésus et Marie” - attraverso la contemplazione dei quindici momenti più significativi della loro vita; il secondo, che la preghiera sarebbe venuta in soccorso dell’opera di evangelizzazione nel mondo, che era la sua intima vocazione ecclesiale. Davanti all’Eucaristia e nell’abbraccio di Maria, la Jaricot viveva il suo martirio interiore e, nel momento ultimo della sua vita, il 9 marzo 1862, mentre la malattia si aggravava definitivamente, pronunciava le sue ultime parole di abbandono: “ Marie… Marie, ma Mère, je suis toute à vous!”. Giustamente, questa grande figlia di Lione è considerata “Mère des Missions et Apôtre du Rosaire”.
Dopo questa riflessione, vorrei farne una seconda desunta dal Vangelo di oggi, che è molto bello, e che, come ho detto prima, è quello del «buon pastore» Anzi è Gesù stesso che dice, parlando di sé stesso: “Io sono il buon pastore”. Gesù è il Buon Pastore. Il senso di queste parole è estremamente semplice, ricco e profondo di significato. L’immagine è tratta dalla vita della pastorizia; era un’immagine familiare al tempo di Gesù. Forse meno per noi oggi. Ma non è incomprensibile.
Io penso che tutti noi, nella nostra vita, amiamo dare un’immagine appropriata di noi stessi, e questo avviene in vari modi. Pensiamo ad esempio ad una nostra fotografia, che ferma un istante di noi e che sembra darci l’immagine che noi stessi vorremmo: una fotomodella pensa alla sua avvenenza, un calciatore alla spettacolarità di un suo gol, una coppia di giovani ad un momento della loro felicità, ecc.; a volte sono immagini casuali, a volte studiate, ma sono frammenti significativi della nostra vita. Anche a livello morale ci piace avere una considerazione positiva, così, ad esempio circa il giudizio che gli altri si fanno di noi, dove si cristallizza qualcosa del nostro carattere o del nostro modo di essere; sappiamo che il giudizio può essere positivo o negativo; a volte vero, ma a volte falso. Anche con il nostro modo di vestire, ad esempio, trasmettiamo un’immagine di noi. Ciò che diciamo, crea un’opinione. Il camminare può far suscitare un’impressione. Quel che facciamo, non di rado ci qualifica. Con tutto ciò, vorrei dire che noi non siamo, in quanto esseri umani, insignificanti, lasciamo una traccia. E non siamo indifferenti verso la valutazione che gli altri hanno di noi. La domanda allora è: ma tutto ciò, corrisponde effettivamente a ciò che io sono, a ciò che noi siamo?
Gesù dice: “Io sono il buon pastore”. Queste parole significano che egli si auto-definisce e desidera essere considerato come un pastore buono. L’aggettivo «buono» qualifica l’essere «pastore». Egli vuole che gli altri abbiano questa conoscenza di lui. E parlando ai suoi conterranei, agli ebrei del suo tempo, questi sapevano bene quante volte nella Sacra Scrittura si parlava di pastori che curano il gregge o se ne servono, di pastori che difendono il gregge o fuggono davanti al pericolo, di pastori che conoscono le fresche sorgenti d’acqua, i buoni pascoli e vi conducono il gregge, di pastori che curano o sono indifferenti verso la pecorella zoppa o malata. Tutte queste sono analogie con valore biblico e sapienziale. L’immagine principe, che Gesù dà di sé, è quella del «pastore buono che lascia le 99 (novantanove) pecorelle al sicuro e va il cerca di quella smarrita». In quest’immagine c’è amore, misericordia, servizio, donazione, altruismo. Jaweh era il proprietario del gregge, Gesù si qualifica come buon pastore che sacrifica la vita per le sue pecorelle affidate a lui da Jaweh; egli non è il mercenario che fugge. In questo suo donarsi, in questo suo offrirsi, non solo Gesù afferma, ma è il Buon Pastore. Una missione che non si è esaurita nei secoli, perché egli stesso afferma che nessuna delle pecorelle che il Padre gli ha affidato, verrà lasciata fuori dell’ovile, fuori di casa. Egli sa di avere “altre pecore che non sono di questo ovile” ed aggiunge: “anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diverranno un solo gregge” (Gv 10, 16). Con tali espressioni egli inaugurava la missionarietà, affidando questo impegno dapprima ai suoi discepoli e poi alla Chiesa tutta. Il servizio reso da Gesù al Padre supera allora la Palestina, supera tutti i tempi e si allarga a tutto il mondo. Qui è la radice della missionarietà della Chiesa, la radice dell’intuizione della Jaricot che intendeva coinvolgere nella missionarietà anche i laici.
Il Beato Paolo VI, in una meditazione del 28 aprile 1968, invitava a riflettere che era stato proprio Gesù a voler essere ricordato in quest’immagine del Buon Pastore e che Egli, il Cristo, voleva essere pensato, ricordato e visto così, ossia, come colui che ci chiama nella sua casa per nome, perché per lui ogni essere umano non è anonimo e che a tutti dà accoglienza, non fa differenza di persona, conosce l’intimo mio e tuo, gli è cara la mia e la tua vita e a tutti sa dare tenerezza. Mi piacerebbe pensare che tu ed io, oggi potessimo avere questa esperienza dell’affetto di Dio; un affetto che, senza pregiudizio egli estende all’intera umanità. In questo c’è anche la nostra vera dignità salvata.
In Gesù, Buon Pastore, il Padre ci ama, ci consola e ci rende liberi.